Luigi Campini (Montichiari, 1816 – Brescia, 1890)
1843-1844 circa
olio su tela, 45 x 58 cm
Montichiari (Bs), Museo Lechi, inv.ML360
Nel 1817 l’attuale Isola del Garda, la più grande dell’omonimo lago, viene acquistata dal conte Luigi Lechi. Nel 1836 egli la cede al fratello, il generale Teodoro (1778-1866), che ne rimane l’affezionato proprietario fino al 1860. In quegli anni i due fratelli Lechi approntano sull’isola importanti lavori per trasformare in un luogo confortevole ciò che fino ad allora era stato un antico e semplice eremo di frati francescani. Viene così edificata una villa di delizia con giardino botanico a terrazze dotato di serre, per sfruttare al meglio le peculiarità climatiche del luogo, la cui visita era raccomandata nelle pagine delle più diffuse guide dei viaggiatori europei di metà Ottocento (va precisato che l’attuale villa di gusto neo-gotico veneziano è il frutto di un successivo intervento architettonico del duca Gaetano De Ferrari, compiuto dopo il 1860).
L’architetto bresciano Rodolfo Vantini (1792-1856) viene incaricato dai Lechi per i progetti volti a dotare l’isola di un porticciolo con darsena e di imponenti mura merlate per proteggere i giardini sul lato orientale dai forti venti del lago.
L’interessante dipinto di Luigi Campini (Bergamo 1818 – Brescia 1890) potrebbe collegarsi proprio con le circostanze progettuali di questa ambiziosa architettura difensiva, voluta da Teodoro Lechi e ancora oggi esistente. Una lettera del gennaio 1844 indirizzata a Milano al generale Lechi ci permette di datare l’opera con un buon margine di precisione.
Non è certo che a questa data le mura dell’isola fossero già state realizzate, la veduta di Campini mostra infatti qualche sensibile divergenza con la situazione ottocentesca e quella attuale. Il quadro potrebbe dunque essere solo un’accattivante “simulazione” a fini progettuali, alla quale per altro prende parte lo stesso Teodoro Lechi senza rinunciare a quel suo fascino di eroe romantico. Lo riconosciamo accomodato accanto alla moglie e al piccolo equipaggio su un’imbarcazione a vele spiegate, pavesata di rosso, che affronta le onde agitate del lago, mentre dall’isola alcune misteriose figure di prelati osservano la scena.
Il pittore dimostra di aver studiato dal vero il contesto ambientale descrivendo bene la natura mediterranea e selvatica del luogo, brulicante di agavi e cipressi aggrappati alla ripida falesia.
Ma è sul fondo, all’estremità opposta dell’isola, che appare il dettaglio più sorprendente di questo enigmatico dipinto. Solidamente posata su uno sperone roccioso svetta una statua colossale con le fattezze inconfondibili di Napoleone Bonaparte, raffigurato in una delle sue iconografie più riprodotte nei bronzetti ottocenteschi diffusi ovunque come souvenir.
Il dipinto appare dunque come l’unica testimonianza visiva di un progetto monumentale che avrebbe proiettato sull’isola del Garda l’ombra di un’altra più celebre isola, quella di Sant’Elena. Un’opera impossibile da realizzare sotto gli occhi vigili delle autorità austriache e dunque destinata a rimanere discretamente evocata sulla tela dipinta.
Com’è noto il generale Lechi non nascose mai la sua nostalgia per gli anni che lo videro tra i soldati più stimati dall’imperatore francese sui campi di battaglia europei che fecero la storia. Dopo la caduta di Napoleone subì anni di carcere duro e umilianti requisizioni patrimoniali da parte degli Austriaci. Ma, irriducibile tra gli irriducibili, nascose le effigi imperiali (oggi esposte a Milano al museo del Risorgimento) e rifiutò ogni compromesso, coerente fino alla vecchiaia, quando compì un ultimo viaggio a Parigi per rendere omaggio alla tomba di Napoleone
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